mercoledì 20 gennaio 2016

Sfrappole versus crostoli

Il prossimo 9 febbraio sarà carnevale. Una festa molto amata sia dai bambini che da molti adulti. 
Essendo goloso e amante dal mangiare bene, ma soprattutto del mangiare all'emiliana, quando passo davanti a un forno (di quelli che sanno fare le cose buone!) non posso esimermi dall’entrare e, se siamo tra gennaio e febbraio, acquistare un vassoio di crostoli da portare a casa per condividerlo coi familiari. Così ho fatto la settimana scorsa. Rientrato a casa, a seguito di una trasferta nel suolo natio, dopo cena ho portato in tavola il tipico dolce di carnevale: “Oggi a Ferrara ho preso i crostoli”.

Nella foto sopra i crostoli acquistati al forno Orsatti di via Garibaldi a Ferrara

La prole mi ha guardato con fare interrogativo finchè non m’ha visto aprire il pacchetto. Così la mamma, da brava bolognese, ha puntualizzato: “Bimbi dovete capire il papà se ogni tanto parla ferrarese. Queste sono simili alle sfrappole ma non buone come le nostre. Loro [intesi i ferraresi, NdA] non le sanno fare”. Come se il copyright di questo dolce di carnevale fosse esclusivamente felsineo. In realtà le sfrappole o crostoli sono presenti un po’ tutta Italia, anche se ognuno le declina nel proprio idioma: bugie (Genova, Torino, Imperia), cenci (Toscana), cròstoli (Ferrara, Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia), galàni (Venezia, Padova), sfrappole (Bologna, Modena) chiacchiere (Romagna), cioffe (Sulmona, Centro Abruzzo), sfrappe (Marche).


Nella foto sopra sfrappole nella bacheca del forno Pallotti di via Borgo S. Pietro a Bologna

Riflettendoci la consorte ha le sue ragioni poiché l’Italia è il Paese dei campanili e quindi, anche se Ferrara e Bologna distano appena 50 km, si tendono spesso a rimarcare le differenze. Senza contare che pure all’interno di una stessa comunità, nella preparazione di una pietanza o d'un dolce, si possono riscontrare modifiche anche significative che solitamente arricchiscono e danno valore aggiunto al prodotto. 
Ad esempio, molte zdaure ritengono che le sfrappole si debbano cuocere rigorosamente nello strutto, giusto per dare quel tocco di 'leggerezza' in più. Diversamente, nelle ricette che si trovano online o su pubblicazioni cartacee, viene consigliata la cottura nell’olio di semi. Qualcun'altro suggerisce di usare l’olio d’oliva, più digeribile e salubre, ma si rischia che il sapore dell'olio prevalga sul resto. Molti forni, invece, usano il vituperato olio di palma ritenuto il male assoluto dagli ambientalisti.
Un'altra differenza importante, che non avevo notato quando abitavo nel ferrarese, è che qui a Sasso molte zdaure bagnano le sfrappole con l'Alkermes un liquore dal colore rosso che solitamente si usa per le pesche dolci o per la bagna di dolci farciti, ad esempio la zuppa inglese.
C'è poi la questione dello spessore della sfoglia: i bolognesi la fanno molto sottile, mentre a Ferrara usualmente è più spessa, il che porta a un maggiore assorbimento del liquido in cui si cuociono i crostoli. 
E anche sulla forma, come si evince dalle foto presenti nel post, ci sono fior di diatribe: rettangolari, a fiocco, col taglio in mezzo?
Infine la questione dello zucchero sopra le sfoglie di pasta: a velo, vanigliato o granulare?

Nella foto sopra le sfrappole realizzate da una zdaura di Pontecchio Marconi


Su di una cosa, però, penso siamo tutti d'accordo: le sfrappole/crostoli/chiacchiere confezionate, che si vendono solitamente nei supermercati e nei centri commerciali, fanno schifo e hanno ragione d'esistere. 

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