lunedì 1 maggio 2017

Che fatica fare satira

La satira costituisce la più graffiante delle manifestazioni artistiche. Basata su sarcasmo, ironia, trasgressione, dissacrazione e paradosso, verte preferibilmente su temi di attualità, scegliendo come bersaglio privilegiato i potenti di turno. Anzi, più in alto si colloca il destinatario del messaggio satirico, maggiore è l’interesse manifestato dal pubblico. Quella politica, infatti, è di gran lunga il tipo di satira che raccoglie maggiore interesse e consenso tra i cittadini.
Essendo una forma d’arte, il diritto di satira trova riconoscimento nell’Articolo 33 della Costituzione, che sancisce la libertà dell’arte. Ma è una forma d’arte particolare. Il contenuto tipico del messaggio satirico è lo sbeffeggiamento del suo destinatario. La satira mette alla berlina il personaggio al di sopra di tutti, l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Da questo punto di vista, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza. Non a caso è tollerata persino nei sistemi autoritari, fortemente motivati a mostrare il volto “umano” del regime.

Nell’enciclopedia Treccani per “Satira "si intende la ”Composizione poetica che rivela e colpisce con lo scherno o con il ridicolo concezioni, passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità o caratteristici di una categoria di persone o anche di un solo individuo”. 

Il dizionario Garzanti ci fornisce invece questa descrizione: “genere letterario che ritrae con intenti critici e morali personaggi e ambienti della realtà e dell’attualità, in toni che vanno dalla pacata ironia alla denuncia, all’invettiva più acre”. 

Dall’attentato al giornale satirico francese Charlie Hebdo spesso e volentieri è capitato di imbattersi in definizioni arbitrarie di satira, mistificandone anche il ruolo: nel descriverla, comune a molte persone è l’utilizzo del termine “sottile”. Molti reputano che questa debba unicamente essere “sottile”, cioè debba provocare il riso e la denuncia sociale attraverso una non meglio precisata eleganza e uno stile che non debba mai cedere al volgare o alla sfrontatezza. 

La teoria largamente diffusa quindi, secondo la quale la satira non può essere sporca, brutta e cattiva, contrasta con la sua definizione immanente. La satira può essere sottile, così come può anche essere sprezzante, sconcia e pesante.

Il timore più grande che si nutre attorno al riconoscimento di un’incondizionata libertà di satira è che dietro di essa si possano in realtà celare le più ributtanti e feroci ingiurie contro la persona, tutt’altro che innocue e gioconde, lesive della dignità e della reputazione altrui. La giurisprudenza è sovente intervenuta in merito al sottile, evanescente confine tra satira e diffamazione. I suoi contributi sono così numerosi che l’argomento meriterebbe una trattazione esclusiva e da chi è più esperto del sottoscritto per essere esaustivi.

Il gradimento e il margine di “tollerabilità” della satira variano da persona a persona, pensare quindi che ci siano dei limiti assoluti, invalicabili della stessa significa commettere un errore di valutazione. In molti (compreso lo scrivente) hanno manifestato profondo disprezzo per la vignetta di Charlie Hebdo su Amatrice perché quest’ultima utilizzava un argomento tabù, la morte, per provocare il riso. 

Si può fare satira su tutto e su tutti, anche sulle vittime, purché il bersaglio non siano loro. Così come non è satira una battuta su un gay che si suicida a causa di bullismo nei suoi confronti. Qui però mi pongo una domanda a cui non ho trovato ancora una risposta: chi è considerato vittima dalla società? Se nell'infelice battuta del periodico francese Chiarlie Hebdo sui morti di Amatrice non sorgono dubbi a riguardo, per altre categorie di soggetti il problema si pone eccome. E’ vittima il gay, la donna, il nero, l’immigrato quando su di essi si fa satira, in assenza di particolari soprusi su di essi? Tutte categorie in un certo qual modo tutelate maggiormente dalla società contemporanea, tutte categorie ove la satira, nella maggior parte dei casi produce solo un suo accorato rigetto da parte dei più. Perché, per esempio,il ragazzo credente che si offende per la satira sulla sua religione è tacciato di bigottismo, mentre il ragazzo che fa satira sui gay deve esser considerato necessariamente un omofobo (che magari non è, anzi, magari li difende)?
Insomma a volte la satira fa schifo, fa vomitare, ci fa piangere di rabbia come nel caso di Charlie Hebdo sul terremoto ad Amatrice. Abbiamo la libertà di leggerla, perché chi l'ha fatta ha avuto la libertà di produrla e di pubblicarla. Abbiamo la libertà di non leggerla o di insultarla ma - purtroppo - questo non ci riporterà indietro le quasi trecento vittime. Non poterla leggere significherebbe essere sotto uno stato fascista, non libero, dominato da dittatori, che siano essi solamente politici o a sfondo religioso. E questa doppia libertà, di creare e di criticare è alla base di quello che siamo oggi. E allora non è la satira, bellezza. È la democrazia, bellezza. E se non l'accettiamo allora che si torni alle marcette del sabato mattina.