venerdì 22 gennaio 2016

Spunti di riflessione per comprendere il ddl Cirinnà sulle Unioni Civili

In Italia fino al 1948 le donne non potevano votare, mentre fino all’inizio degli anni 70 il divorzio era illegale. Ora sembrano cose impossibili eppure all'epoca c'era chi s'opponeva a tali cambiamenti e il tutto era oggetto di dibattito.
Il tema delle unioni civili di cui si discute in questi giorni nel nostro Paese non è così diverso, poiché rappresenta una di quelle battaglie destinate a essere perse da chi vi si oppone: non solo per merito dei protagonisti o demerito degli avversari, ma semplicemente perché questa è la direzione in cui il mondo (speriamo non solo quello occidentale) e la società stanno andando.
Negli ultimi anni infatti sul fronte dei diritti delle coppie omosessuali ci sono stati passi in avanti inimmaginabili fino a pochi anni fa. Solo il 2015 ha visto il riconoscimento dei matrimoni gay da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, la vittoria del sì ai matrimoni omosessuali nel referendum in Irlanda e un mese fa l'approvazione delle unioni civili in Grecia. Ma basta guardare una qualsiasi mappa che raffigura lo stato dei questi diritti per rendersi conto all'istante dell'arretratezza del nostro Paese, un'arretratezza che è stata ribadita anche dalla Corte suprema dei Diritti dell'uomo, che nel luglio dello scorso anno ha condannato all'unanimità l'Italia per aver violato l'Articolo 8 dei diritti dell'uomo:  il "diritto al rispetto della vita familiare e privata".
Al momento in Italia non esistono leggi che tutelino i diritti delle coppie dello stesso sesso. Tra le altre cose, le coppie omosessuali non beneficiano di vantaggi fiscali né di diritti successori e il partner non è autorizzato a fornire assistenza in caso di malattia né di gestire il patrimonio dell'altra persona.
In questo scenario l'Italia è arrivata al voto in aula del ddl Cirinnà denominato di "regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze" e in programma il 28 gennaio. Il testo originale è stato approvato per la prima volta in commissione di Giustizia del Senato il 26 marzo del 2015, ma la norma è rimasta fino ad adesso bloccata al Senato, affossata delle polemiche e dell'ostruzionismo sia interno che esterno al Partito Democratico.

Il ddl Cirinnà
Il disegno di legge si divide in due parti. 
La prima introduce l'unione civile tra persone dello stesso sesso, sotto il moderato nome di "specifiche formazioni sociali". Tra i suoi articoli contiene anche il più discusso, ovvero il quinto, che riguarda la "stepchild adoption", secondo cui una delle due persone può adottare il figlio naturale dell'altra. Si tratta di un regolamento che in Italia già esiste per le coppie eterosessuali e non c'è, in questo, alcun riferimento alla maternità surrogata, che nel nostro paese rappresenta un reato penale.
La seconda, invece, regola la convivenza di fatto, sia tra coppie eterosessuali che omosessuali. In entrambi i casi, spettano alla coppia diritti e doveri quali di diritti fedeltà, assistenza morale e materiale, successione, e altro. Come si può vedere, insomma, il ddl Cirinnà non è niente di rivoluzionario. Anzi, è il frutto di laceranti compromessi parlamentari e della conformazione politica del governo che l'ha generata.
L'attuale testo rappresenta, infatti, una versione rivista rispetto a quella originale, frutto della mediazione con il Ncd ma anche l'area cattolica del Partito Democratico. Tra le modifiche presentate nel nuovo testo c'è l'eliminazione di qualsiasi riferimento al matrimonio, appunto per le coppie di fatto alla denominazione di "specifiche formazioni sociali".
Tuttavia le modifiche apportate potrebbero non essere terminate. Ed è proprio questo il punto che in questi giorni - in controtendenza con le dichiarazioni che sconfessavano ogni possibilità di modifica - si è arrivati a ipotizzare l'inserimento di una modifica che marchi ulteriormente la differenza tra unioni civili e matrimonio, per evitare, ufficialmente, che la legge venga bloccata dalla Corte Costituzionale (la quale, in precedenti casi analoghi, aveva ribadito l'incostituzionalità di tale equiparazione).

L'opposizione
L'opposizione al ddl riguarda soprattutto l'articolo relativo la stepchild adoption ed è stata chiara fin dal momento in cui è stato presentato, così all'arrivo in Senato sono sorte le dure reazioni di Lega, Forza Italia e Ncd. Ma a preoccupare per il destino del disegno di legge sono anche i malumori interni al PD. Nonostante la linea della maggioranza dentro il partito, ci sono una trentina senatori pronti a non firmare l'articolo sulla stepchild adaption, e che premono affinché questa venga sostituita con la pratica dell'affido rinforzato, una forma di affido che, con rinnovo biennale, dura fino alla maggiore età del figlio, periodo dopo il quale questo può scegliere di essere adottato. Proprio la scorsa settimana, a tale scopo è stato presentato un emendamento firmato da 37 deputati.

Al di fuori della politica di palazzo la Cei è scesa definitivamente in campo contro il ddl lo scorso 7 gennaio. La stessa posizione è stata di fatto rinforzata e ufficializzata dieci giorno dopo dal cardinal Bagnasco, che in un'intervista a Repubblica ha ribadito la posizione della Chiesa. Il presidente della Cei ha infatti definito "necessario" il nuovo Family Day e ribadito il ruolo unico della famiglia tradizionale, esortando il Parlamento a occuparsi dei problemi veri, rispetto a cui le unioni civili rappresenterebbero "una distrazione grave e irresponsabile".

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