In Italia fino al 1948 le donne non
potevano votare, mentre fino all’inizio degli anni 70 il divorzio era illegale.
Ora sembrano cose impossibili eppure all'epoca c'era chi s'opponeva a tali
cambiamenti e il tutto era oggetto di dibattito.
Il tema delle unioni civili di cui
si discute in questi giorni nel nostro Paese non è così diverso, poiché
rappresenta una di quelle battaglie destinate a essere perse da chi vi si
oppone: non solo per merito dei protagonisti o demerito degli avversari,
ma semplicemente perché questa è la direzione in cui il mondo (speriamo non
solo quello occidentale) e la società stanno andando.
Negli ultimi anni infatti sul
fronte dei diritti delle coppie omosessuali ci sono stati passi in avanti
inimmaginabili fino a pochi anni fa. Solo il 2015 ha visto il riconoscimento
dei matrimoni gay da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, la vittoria
del sì ai matrimoni omosessuali nel referendum in Irlanda e un mese fa
l'approvazione delle unioni civili in Grecia. Ma basta guardare una qualsiasi mappa che
raffigura lo stato dei questi diritti per rendersi conto all'istante
dell'arretratezza del nostro Paese, un'arretratezza che è stata ribadita anche
dalla Corte suprema dei
Diritti dell'uomo, che nel luglio dello scorso anno ha condannato all'unanimità
l'Italia per aver violato l'Articolo 8 dei diritti dell'uomo: il "diritto
al rispetto della vita familiare e privata".
Al momento in Italia non esistono
leggi che tutelino i diritti delle coppie dello stesso sesso. Tra le altre
cose, le coppie omosessuali non beneficiano di vantaggi fiscali né di diritti
successori e il partner non è autorizzato a fornire assistenza in caso di
malattia né di gestire il patrimonio dell'altra persona.
In questo scenario l'Italia è
arrivata al voto in aula del ddl Cirinnà denominato di "regolamentazione
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle
convivenze" e in programma il 28 gennaio. Il testo originale è
stato approvato per la prima volta in commissione di Giustizia del Senato il 26
marzo del 2015, ma la norma è rimasta fino ad adesso bloccata al Senato,
affossata delle polemiche e dell'ostruzionismo sia interno che esterno al
Partito Democratico.
Il ddl Cirinnà
Il disegno di legge si divide in
due parti.
La prima introduce l'unione civile tra persone dello stesso
sesso, sotto il moderato nome di "specifiche formazioni sociali".
Tra i suoi articoli contiene anche il più discusso, ovvero il quinto, che
riguarda la "stepchild adoption", secondo cui una delle due
persone può adottare il figlio naturale dell'altra. Si tratta di un regolamento
che in Italia già esiste per le coppie eterosessuali e
non c'è, in questo, alcun riferimento alla maternità surrogata, che nel nostro
paese rappresenta un reato penale.
La seconda, invece, regola la convivenza di fatto, sia tra coppie eterosessuali che omosessuali. In entrambi i casi, spettano alla coppia diritti e doveri quali di diritti fedeltà, assistenza morale e materiale, successione, e altro. Come si può vedere, insomma, il ddl Cirinnà non è niente di rivoluzionario. Anzi, è il frutto di laceranti compromessi parlamentari e della conformazione politica del governo che l'ha generata.
La seconda, invece, regola la convivenza di fatto, sia tra coppie eterosessuali che omosessuali. In entrambi i casi, spettano alla coppia diritti e doveri quali di diritti fedeltà, assistenza morale e materiale, successione, e altro. Come si può vedere, insomma, il ddl Cirinnà non è niente di rivoluzionario. Anzi, è il frutto di laceranti compromessi parlamentari e della conformazione politica del governo che l'ha generata.
L'attuale testo rappresenta, infatti, una
versione rivista rispetto a quella originale, frutto della mediazione con il
Ncd ma anche l'area cattolica del Partito Democratico. Tra le modifiche
presentate nel nuovo testo c'è l'eliminazione di qualsiasi riferimento al
matrimonio, appunto per le coppie di fatto alla denominazione di "specifiche
formazioni sociali".
Tuttavia le modifiche apportate
potrebbero non essere terminate. Ed è proprio questo il punto che in questi
giorni - in controtendenza con le dichiarazioni che sconfessavano
ogni possibilità di modifica -
si è arrivati a ipotizzare l'inserimento di una modifica che marchi
ulteriormente la differenza tra unioni civili e matrimonio, per evitare,
ufficialmente, che la legge venga bloccata dalla Corte Costituzionale (la
quale, in precedenti casi analoghi, aveva ribadito l'incostituzionalità di tale
equiparazione).
L'opposizione
L'opposizione al ddl riguarda soprattutto l'articolo relativo la stepchild adoption ed è stata chiara fin dal momento in
cui è stato presentato, così all'arrivo in Senato sono sorte le dure reazioni
di Lega, Forza Italia e Ncd. Ma a preoccupare per il destino del
disegno di legge sono anche i malumori interni al PD. Nonostante la linea della
maggioranza dentro il partito, ci sono una trentina senatori pronti a non
firmare l'articolo sulla stepchild
adaption, e che premono affinché questa venga sostituita con la pratica
dell'affido rinforzato, una forma di affido che, con rinnovo biennale, dura
fino alla maggiore età del figlio, periodo dopo il quale questo può scegliere
di essere adottato. Proprio la scorsa settimana, a tale scopo è stato
presentato un emendamento firmato da 37 deputati.
Al di fuori della politica di
palazzo la Cei è scesa
definitivamente in campo contro il ddl lo scorso 7 gennaio.
La stessa posizione è stata di fatto rinforzata e ufficializzata dieci giorno
dopo dal cardinal Bagnasco, che in un'intervista
a Repubblica ha ribadito la posizione della
Chiesa. Il presidente della Cei ha infatti definito "necessario" il
nuovo Family Day e ribadito il ruolo unico della
famiglia tradizionale, esortando il Parlamento a occuparsi dei problemi veri,
rispetto a cui le unioni civili rappresenterebbero "una distrazione
grave e irresponsabile".
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