martedì 28 marzo 2017

Senso delle istituzioni e nervi saldi per gestire al meglio il tema della sicurezza

Quando piccole comunità - come ad esempio è Sasso Marconi - sono scosse da furti, rapine, scippi, anche chi normalmente è sempre stato equilibrato improvvisamente sarebbe disposto a imbracciare un fucile e andarsi a fare giustizia da solo. 
E' comprensibile che chi venga colpito da vicino e in maniera violenta da una perdita (non pensiamo solo agli omicidi, ma anche al furto di oggetti a noi cari, indipendentemente dal valore economico che essi hanno) reagisca in preda alla rabbia e alla disperazione. È comprensibile che diventi difficile fare appello alla lucidità e cedere il passo alla speranza che la giustizia possa fare il suo corso nel migliore dei modi. Ma il problema, infatti, non sono le persone immediatamente più prossime al dolore, quelle toccate più da vicino da un fatto di cronaca nera. 
Il problema, spesso, sono tutti gli altri. Il problema sono quelli che alimentano il livore, che stizziscono, che diffondo frasi cariche di odio, che partono spediti in una caccia al mostro di cui conoscono appena qualcosa ma solo per sentito dire. Il problema sono quelli che scrivono senza avere la certezza di ciò che stanno affermando, e senza avere la consapevolezza di quanto quel dato incerto, impreciso, verrà preso da altri per certo e diventerà notizia.
Il problema è l'assenza di buon senso che si sta propagando come un vuoto incolmabile e che dovrebbe indurre proprio chi è meno attinto dal dolore a diffondere prudenza, fiducia nell'operato delle Istituzioni, della giustizia. A far capire a chi è vinto dalla disperazione che, purtroppo, gli inquirenti hanno più di un codice da rispettare e le cui norme, talvolta, possono apparire anche discutibili, ma imprescindibili. Quando la gente urla che ormai i nomi sono noti ma che le forze dell'ordine stanno facendo tutt'altro anziché andarseli a prendere è perché non sa quel che dice, non conosce le procedure, e mostra una preoccupante ignoranza che può partorire pericolosissime reazioni in chi, per frustrazione o un esasperato livello di passione con cui sta vivendo quella data esperienza, decide di procedere in autonomia e dare all'assassino la lezione che merita. Se talvolta gli inquirenti hanno difficoltà a chiudere il cerchio è perché le informazioni e le testimonianze in loro possesso risultano piuttosto contrastanti. Spesso accade che quelli che in un post su Facebook scrivono dichiarazioni che sembrano gravi, precise e concordanti, sentiti a verbale ne modificando completamente il tenore. Eppure là fuori sembra che tutti sappiano tutto, tutti ne siano assolutamente certi. 
In definitiva, le considerazioni che desidererei condividere in questo momento sono due. La prima è che se siamo vicini, o anche lontani, a chi è stato direttamente colpito da un evento criminoso è nostro dovere tentare di fargli mantenere la calma, perché lui da solo non potrebbe. Perché se, invece, alimentiamo la sua rabbia e lo induciamo a imbracciare un fucile e farsi giustizia, noi ne sarete direttamente responsabili. Andremo così ad aggiungere solo uno smisurato dolore al dolore, e non saremo molto diversi da criminali contro cui ci siamo scagliati.
La seconda è che Facebook, strumento eccellente da un punto di vista ludico, non può sostituirsi agli atti giudiziari e che la verità può essere perseguita solo attraverso le giuste modalità e negli ambienti preposti. Spegnete 'sto computer e andate a dire a chi di dovere tutto e solo quel che sapete. È questo l'unico modo per trovare giustizia.

1 commento: